Quando i chatbot diventano strumento di inclusione sociale
Diciamoci la verità: quando si tratta di cercare informazioni e servizi relativi alla pubblica amministrazione, la maggior parte delle persone trascorre una quantità incalcolabile di tempo navigando su Internet, cercando parole chiave sul sito web del comune, cliccando qui e poi là, per infine arrendersi, frustrati. L’ultima spiaggia: chiamare il customer care nella speranza che qualcuno dall’altra parte della linea possa aiutarli. Perché? Ebbene, nella maggior parte dei casi, le persone hanno una scarsa conoscenza di dominio, il gergo burocratico suona spesso incomprensibile e, giusto per rendere le cose ancora più difficili, è noto che le interfacce dei siti web delle pubbliche amministrazioni siano piuttosto complicate da navigare.
E quindi? Ecco che in U-Hopper nasce l’idea di sviluppare un chatbot con l’obiettivo di rendere informazioni e servizi offerti dalle smart cities facilmente accessibili e utilizzabili dai cittadini, attraverso uno strumento che “parla la loro stessa lingua”. I chatbot consentono infatti alle persone di interagire con un’azienda o, come in questo caso, con la pubblica amministrazione in maniera molto simile a quanto succede durante una normale conversazione tra due persone. Inoltre, sono disponibili su smartphone 24 ore su 24, 7 giorni su 7; sono quindi strumenti perfetti per fornire ogni tipo di informazione in qualsiasi momento. Inoltre, i chatbot sono riconosciuti come un mezzo in grado di supportare i clienti in modo significativo e, soprattutto, a un costo sostanzialmente ridotto (rispetto, ad esempio, ad altri tipi di strumenti di assistenza clienti, come quella telefonica).
L’occasione per tradurre questa idea in qualcosa di concreto si è presentata all’inizio di quest’anno quando il consorzio SynchroniCity ha selezionato U-Hopper tra i vincitori di un bando la cui sfida consisteva nello sviluppo di un servizio abilitato all’Intelligenza Artificiale al fine di migliorare la vita dei cittadini europei.
Di questo progetto e dell’esperienza vissuta abbiamo già parlato in due precedenti articoli pubblicati sul nostro blog; questa volta, abbiamo deciso invece di condividere gli insegnamenti più importanti che abbiamo tratto da questo viaggio durato 6 mesi. In U-Hopper, infatti, crediamo che ogni progetto sia una nuova opportunità per sperimentare e testare le nostre idee. E questa volta non è stata fatta eccezione!
Durante l’analisi dei dati raccolti sull’utilizzo della nostra soluzione sviluppata per gli abitanti di Milano, abbiamo notato che molti cittadini stranieri hanno interagito con il chatbot chiedendo informazioni e digitando domande in inglese ed arabo. Ci è venuto quindi spontaneo domandarci perché il nostro chatbot ha guadagnato così tanta popolarità tra i cittadini stranieri, rivelandosi un segmento di mercato con una maggiore attitudine all’utilizzo. Avevamo sempre visto i chatbot come un mezzo per facilitare l’accesso ad informazioni e servizi, ma non avevamo mai considerato il loro potenziale come strumento per favorire l’integrazione e l’inclusione sociale; e questa è stata per noi un’inaspettata, ma interessante scoperta!
In effetti, a pensarci bene, un chatbot come il nostro, incorporato in una piattaforma esistente quale Facebook Messenger con la quale gli utenti hanno già una certa familiarità, non comporta barriere in termini di adozione. In fin dei conti, sembra di chattare con un amico! Ciò rappresenta un grande vantaggio rispetto ad applicazioni e ad altri mezzi creati ad-hoc in cui gli utenti devono “apprendere” il funzionamento dello strumento prima di utilizzarlo effettivamente. Per gli stranieri, questo è un grande incentivo: sanno già come usare Messenger e quella percezione di cordialità e simpatia che infonde il chatbot aiuta ad alzare il loro comfort level nel porre domande senza sentirsi in imbarazzo e senza dover visitare fisicamente un ufficio o parlare con una persona in una lingua diversa dalla loro.
Purtroppo il nostro chatbot è stato progettato per parlare solo l’italiano e non siamo quindi riusciti a fornire un supporto concreto a questa grande fetta di utenti. Siamo certi, tuttavia, che se avessimo sviluppato un chatbot abilitato da un modello NLP per la lingua inglese, saremmo riusciti a rendere informazioni e servizi non solo accessibili e utilizzabili, ma anche comprensibili e chiari per tutti – con l’effetto (positivo) di accrescere la capacità degli enti locali di integrare con successo la comunità straniera nel nostro Paese.
Oltre a consentirci di sviluppare le nostre competenze tecniche, il risultato più significativo di questo progetto è stato proprio quello di dimostrare che l’inclusione degli stranieri può passare (anche) attraverso il mondo digitale e, nello specifico, attraverso uno strumento estremamente facile e immediato da utilizzare! Il potenziale c’è già, ciò che dobbiamo fare è attivarci per diffondere la cultura dei chatbot nella nostra società e scoprire i grandi risultati che può portare con sé!
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